La Piramide del Potere – Capitolo 9: Il Complesso Carcerario-Industriale

The Pyramid of PowerChapter 9: The Prison-Industrial Complex, di Derrick Broze, The Conscious Resistance Network

Nono capitolo della Piramide del Potere, una serie di documentari in 17 parti che si propone di rispondere alla domanda: Chi governa il mondo?

Il giornalista Derrick Broze esamina le istituzioni e gli individui che cercano di manipolare il nostro mondo a proprio vantaggio. In questo capitolo, che inaugura la terza stagione della serie, Derrick Broze scende ancora più a fondo nella tana del coniglio per svelare il Complesso Carcerario-Industriale.

Presentato da The Conscious Resistance Network: https://theconsciousresistance.com/
Ricercato, scritto e narrato da Derrick Broze
Montaggio di Jeremy Martin, Becca Godwin e Ben Mathie
Musica di Pop Vultures

https://thepyramidofpower.net/
https://theconsciousresistance.com/the-pop/
https://thepyramidofpower.net/?pop-chapter=prison-industrial-complex
https://theconsciousresistance.com/the-pyramid-of-power-chapter-9-the-prison-industrial-complex/

Tradotto e sottotitolato in italiano da Giulia Rodighiero.
La Piramide del Potere in italiano: https://giuliarodi.com/category/la-piramide-del-potere/

Guarda questo video su Odysee / Rumble / Substack / YouTube / Bitchute / Minds / Patreon

TRASCRIZIONE

Il mio nome è Derrick Broze. Negli ultimi dieci anni ho lavorato come giornalista d’inchiesta, conducendo un programma radiofonico, scrivendo libri e producendo numerosi documentari sulle realtà del traffico di bambini, sui pericoli della tecnologia e sulla lotta indigena. Ora, voglio scoprire se esiste una rete di individui e istituzioni che lega queste tematiche. Molti ricercatori ipotizzano l’esistenza di un cartello internazionale che manipola segretamente gli eventi mondiali a proprio vantaggio. Sono queste solo affermazioni di fantasia e delirio paranoico, o c’è davvero un’agenda per manipolare l’umanità secondo le esigenze della Piramide del Potere?

Capitolo 9: Il Complesso Carcerario-Industriale

Nei capitoli precedenti, abbiamo guardato alla realtà della corruzione, della menzogna e della disinformazione, che è stata progettata per tenere i popoli del mondo beatamente all’oscuro della vera fonte del loro dolore. Abbiamo anche identificato un altro strato della Piramide del Potere: le grandi aziende del wireless; i grandi titani del petrolio, noti anche come la “Petroligarchia”, le grandi multinazionali farmaceutiche e il cartello medico; e infine, i modi in cui il sistema alimentare e il cibo stesso vengono usati come un’arma contro la gente. Ora il nostro viaggio va avanti, mentre ci addentriamo più a fondo nel labirinto della storia nascosta e della politica profonda. Quali altri tasselli della Piramide del Potere attendono di essere svelati?

Che cos’è il Complesso Carcerario-Industriale?

Se finora ci siamo concentrati su varie istituzioni e organizzazioni che cercano di ostacolare o togliere il potere dalle persone, dobbiamo anche esaminare i modi in cui le persone vengono catturate dalle industrie che cercano di trarre profitto dai nostri corpi e dalle nostre menti. Più specificamente, dobbiamo capire in che modo il sistema penitenziario, le leggi approvate dai governi e applicate dalla polizia e una serie di altri fattori interconnessi, possono impedire alle persone di essere libere e di raggiungere il loro pieno potenziale. Dobbiamo capire il complesso carcerario-industriale.

Il complesso carcerario-industriale (CCI) è spesso descritto come una sovrapposizione di interessi del governo e dell’industria che utilizzano la sorveglianza, la polizia e la detenzione come soluzioni a problemi economici e politici. Si tratta di una rete di relazioni che coinvolge le carceri pubbliche e private, le aziende che offrono servizi di libertà vigilata e condizionale, la polizia, i tribunali, il trasporto, l’alimentazione e la vendita di beni di prima necessità ai detenuti. I critici sostengono che questa confluenza di organizzazioni vede l’aumento della criminalità come un’opportunità d’affari piuttosto che come un problema da risolvere per il miglioramento della società. Questi critici ritengono che il complesso carcerario-industriale porti a un aumento del crimine perché la fonte dei loro profitti sono i detenuti, e quindi hanno un incentivo perverso a mantenere l’attività criminale.

Il think tank no-profit e apartitico Interrogating Justice definisce il CCI “Una relazione simbiotica tra dipartimenti di polizia, sistemi giudiziari, uffici di libertà vigilata, aziende di trasporto, fornitori di servizi di ristorazione e molti altri, che in ultima analisi traggono tutti vantaggio dal mantenimento dell’incarcerazione”.

Negli ultimi anni i critici del sistema penitenziario hanno iniziato a includere nelle loro analisi anche i centri di detenzione per immigrati privatizzati. Queste strutture di detenzione, spesso poco sicure e non adatte ad ospitare famiglie e bambini, vengono utilizzate per imprigionare gli immigrati privi di documenti per periodi di tempo indeterminati. Secondo un rapporto del 2018 del New York Times, il 73% degli immigrati detenuti negli Stati Uniti è ospitato in strutture private. Gli oppositori delle carceri private affermano che i centri di detenzione operano con scarsa regolamentazione o supervisione e hanno un chiaro incentivo finanziario a tagliare i costi medici, alimentari e di manutenzione.

Alcune delle aziende che beneficiano del CCI includono Aramark, 3M, Amazon, Bank of America, JP Morgan Chase, Microsoft, Western Union e Wells Fargo. Tra gli operatori carcerari privati figurano CoreCivic, Ferrovial, GEO Group e Serco Group.

Altre critiche al CCI riguardano la criminalizzazione della povertà. In particolare, i critici affermano che il cosiddetto sistema di giustizia penale prende di mira gli individui a basso reddito, spesso nelle comunità di colore. La Prison Policy Initiative afferma che “la povertà non è solo un fattore predittivo del coinvolgimento con il sistema giudiziario”, ma anche un risultato del trovarsi ingarbugliati nel CCI. Ad esempio, se un individuo vive in povertà e sceglie di commettere un reato di basso livello, ad esempio un furto non violento ma invasivo, non solo si ritroverà chiuso in gabbia con la fedina penale sporca, ma sarà anche gravato da innumerevoli multe, tasse e altri costi associati al processo. Anche dopo aver scontato la pena in carcere o in prigione, al momento del rilascio dovrà fare i conti con il sistema di libertà vigilata o condizionale. Questo sistema richiede pagamenti mensili, corsi e sedute di terapia che apparentemente mirano a riabilitare le persone, ma che alla fine sono un salasso per il loro reddito. A volte le persone si vedono sospendere la patente di guida dopo l’arresto, costringendole a camminare, usare i mezzi pubblici o guidare senza patente. Questo comporta ulteriori costi per i contribuenti e, secondo alcuni, mette in pericolo il pubblico a causa dell’aumento dei conducenti senza patente.

Negli Stati Uniti viene anche criticato il sistema della cauzione, che prevede il pagamento da parte dell’imputato di una certa somma di denaro a garanzia della partecipazione alle future udienze. Se l’imputato non è in grado di pagare la cauzione, può essere incarcerato dal momento dell’arresto fino a quando il caso non viene risolto o archiviato in tribunale. L’associazione Prison Policy Initiative afferma che ciò va contro la protezione costituzionale del principio di innocenza fino a prova contraria e che l’aumento della popolazione carceraria negli Stati Uniti è spinto dalla detenzione di persone legalmente innocenti. Per questo motivo, l’Initiative sostiene che una riforma del sistema di giustizia penale e del complesso carcerario-industriale deve includere una discussione sulle carceri locali e sulla necessità di una riforma della detenzione preventiva.

Sebbene questo non sia la norma in tutto il mondo, lo è in molte nazioni occidentali, [tra cui gli USA], che hanno quasi il 25% dei detenuti del mondo e il più alto tasso di incarcerazione al mondo. Questi livelli astronomici di incarcerazione includono anche i minori di 18 anni. Questa criminalizzazione dei giovani può essere vista come un sintomo del complesso carcerario-industriale. In particolare, la tendenza a togliere i bambini dalle scuole pubbliche e metterli nel sistema giudiziario minorile e penale è spesso nota come la “linea diretta scuola-prigione”. I bambini che cadono vittime di questo percorso seguono un certo schema. Innanzitutto, spesso le risorse della scuola sono insufficienti, non ci sono abbastanza insegnanti per studente e fondi limitati per psicologi e consulenti per la salute mentale. In secondo luogo, le scuole adottano sempre più spesso politiche di tolleranza zero, in base alle quali gli studenti possono essere espulsi o sospesi anche solo per aver portato a scuola un tagliaunghie. Se a questi fattori si aggiunge la crescente militarizzazione delle scuole, con poliziotti pesantemente armati, metal detector, telecamere, perquisizioni casuali dei beni personali, si ottiene una ricetta per un disastro. Se un bambino si comporta male o infrange una regola in questo ambiente, può ritrovarsi in una scuola disciplinare alternativa e ben presto vengono coinvolti la polizia e i tribunali. L’aumento dei poliziotti nelle scuole può portare gli studenti a essere criminalizzati per comportamenti che in precedenza sarebbero stati gestiti all’interno della scuola. Questo spesso porta un ragazzo ad essere introdotto nel sistema giudiziario minorile.

Infine, il complesso carcerario-industriale è un sistema che non si concentra sulla vera correzione di comportamenti cattivi o antisociali. Al contrario, i critici sostengono che questo sistema produce più violenza, imprigiona delinquenti di basso livello e non violenti, costa miliardi di dollari ai contribuenti e disumanizza i prigionieri.

Storia del complesso carcerario-industriale (CCI)

All’inizio del XIX secolo, gli Stati cominciarono a essere coinvolti nella gestione delle carceri. Le imprese private iniziarono a fornire servizi di appalto per il cibo, l’assistenza medica e il trasporto. Tuttavia, in alcuni casi le carceri gestite dallo Stato prestavano manodopera ad imprese private. Questo si può vedere soprattutto con il sistema di ‘affitto dei detenuti’ negli Stati Uniti meridionali Questo sistema prevedeva che i privati pagassero le prigioni pubbliche per il lavoro forzato. I prigionieri venivano spesso affittati ai proprietari di piantagioni e alle società per l’estrazione del carbone, la posa di mattoni o il taglio del legname. La Tennessee Coal, Iron and Railroad Company fu uno dei maggiori fruitori di manovalanza carceraria, composta per lo più da afroamericani condannati per reati minori. La U.S. Steel è un’altra azienda americana che ha ammesso di aver utilizzato lavoro forzato di detenuti afroamericani. Queste aziende erano responsabili del vitto, dell’abbigliamento e dell’alloggio dei prigionieri. Ciò comportava spesso condizioni insalubri o pericolose.

Questo sistema finì per perdere il favore del pubblico e l’ultimo Stato a mettere fuori legge questa pratica fu l’Alabama nel 1928. Il sistema fu criticato per una serie di abusi molto pubblicizzati, tra cui il caso di Martin Tabert, un giovane bianco del Nord Dakota arrestato in Florida per essere salito su un treno senza biglietto. Tabert fu multato 25 dollari, i suoi genitori inviarono il denaro, ma questo si perse da qualche parte lungo la strada e Martin fu successivamente affittato alla Putnam Lumber Company a Clara, in Florida, a sud di Tallahassee. Martin finì per essere frustato a morte con una cinghia di cuoio dal suo capo. La storia fece notizia a livello nazionale e portò il governatore della Florida Cary A. Hardee a porre fine all’affitto dei detenuti nel 1923.

Con la diffusione della gestione statale dell’industria carceraria in tutto il mondo, nacquero nuove istituzioni, tra cui la Federal Prison Industries negli Stati Uniti nel 1930. La Federal Prison Industries, nota anche come Unicor, è un programma di lavoro carcerario in cui i detenuti producono beni e servizi per il settore pubblico. Secondo la legge federale degli Stati Uniti, tutti i detenuti fisicamente abili che non rappresentano un rischio per la sicurezza e senza esenzione medica sono tenuti a lavorare, per UNICOR o per un altro lavoro carcerario. Negli Stati Uniti, i detenuti guadagnano da $0,23 a $1,15 l’ora. Alcuni critici equiparano questo programma di lavoro a una forma di schiavitù moderna.

Se il programma di lavoro dei detenuti può aver posto fine alla pratica di affittare i prigionieri ad aziende private, la crescita dell’industria carceraria privata è preoccupante. Oggi l’industria carceraria privata gestisce strutture per detenuti immigrati. Queste prigioni sono gestite da società private che stipulano un contratto con il governo. Il contratto definisce le modalità di retribuzione dell’azienda, che può essere determinata dalle dimensioni della prigione o, nella maggior parte dei casi, viene pagata in base al numero di detenuti ospitati. I critici sottolineano l’incentivo a creare profitti finanziari e a tagliare i costi come motivo per cui le carceri private dovrebbero essere abolite o fortemente ridotte.

Tra le aziende che traggono profitto dalla manodopera carceraria a basso costo, ci sono McDonalds, Wendy’s, Wal-Mart, Starbucks, Sprint, Verizon, Victoria’s Secret, Fidelity Investments, Jc Penney e American Airlines.

Il complesso carcerario-industriale di oggi comprende le carceri pubbliche e private, i servizi di libertà vigilata, il sistema di cauzione in contanti, le leggi e le sentenze ingiuste, la linea diretta scuola-carcere e molti altri fattori. Cosa ha portato alla creazione di questo rapporto tra Stato e impresa che imprigiona e distrugge vite umane?

Le cause del complesso carcerario-industriale (CCI)

Un rapporto del 2014 del National Research Council (NRC) ha individuato due cause principali dell’aumento del tasso di incarcerazione negli Stati Uniti negli ultimi 40 anni: l’allungamento delle pene detentive e l’aumento delle probabilità di incarcerazione. Il NRC sostiene che l’allungamento delle pene detentive è stato il principale motore dell’aumento del tasso di incarcerazione dal 1990. L’allungamento delle pene fa parte della cosiddetta regola dei “Tre Strikes”, in base alle quali un detenuto riceve lunghe pene minime obbligatorie dopo tre arresti. Negli Stati Uniti, queste pratiche possono essere ricondotte alla ‘Guerra alla droga’, una campagna lanciata all’inizio degli anni ’70 con l’obiettivo di criminalizzare e punire il traffico e l’uso di droghe.

Dobbiamo intraprendere quella che ho definito la Guerra Totale contro il nemico pubblico no. 1 negli Stati Uniti, il problema delle droghe pericolose.

Richard Nixon

I presidenti americani Richard Nixon e Ronald Reagan introdussero una legislazione antidroga con pene più severe. In questo periodo l’incarcerazione dei tossicodipendenti non violenti divenne la norma. Molti critici del CCI indicano la guerra alla droga come la causa principale della crescita del sistema penitenziario. Dagli anni ’70 in poi, gli americani sono stati sottoposti a carcere e prigione per reati non violenti legati alle droghe, come il consumo o il semplice possesso. Questo ha portato all’incarcerazione e alla rovina di milioni di persone. La mentalità dura contro il crimine e la droga fu abbracciata dall’allora governatore di New York Nelson Rockefeller, della famigerata famiglia Rockefeller. Nel gennaio 1973, Rockefeller lanciò una campagna politica incentrata sul mettere fine al consumo di droga e sulla richiesta di pene detentive obbligatorie da 15 anni all’ergastolo per chi fosse stato sorpreso con piccole quantità di cannabis, cocaina o eroina.

“Ho un solo scopo e un solo obiettivo: fermare lo spaccio di droga e proteggere le vittime innocenti”.

Nelson Rockefeller

L’eredità di questa guerra si è diffusa negli Stati Uniti e in parte del mondo e ha creato un’industria carceraria mondiale. A gennaio 2022, l’Ufficio Federale delle prigioni degli Stati Uniti afferma che il 45% dei detenuti federali è incarcerato a causa di condanne per droga.

Tuttavia, negli ultimi due decenni, c’è stato un cambiamento in molti luoghi del mondo con la legalizzazione o la depenalizzazione di sostanze relativamente innocue come la cannabis. Ciò è dovuto in parte anche alla ripresa della ricerca sulle sostanze psichedeliche come funghi, LSD e MDMA. Sempre più persone vedono nella guerra alla droga una causa di maggior danno piuttosto che una soluzione. Purtroppo, la più ampia accettazione di certe sostanze non ha necessariamente portato a cambiamenti retroattivi delle politiche. Il fatto è che ci sono ancora persone dietro le sbarre per accuse di droga in Stati o nazioni che hanno ridotto le pene per il consumo o il possesso di droga. Per questo motivo, un numero crescente di attivisti per la giustizia penale chiede la liberazione dei prigionieri detenuti per accuse di droga basate su sostanze ora legali o depenalizzate, tra cui la cannabis. Dopo tutto, perché qualcuno dovrebbe languire in prigione per erba o funghi o qualsiasi altra sostanza che le persone al di fuori delle mura del carcere possono usare liberamente, o addirittura acquistare legalmente nei dispensari?

In luoghi come il Portogallo, dove il possesso di tutte le droghe è stato depenalizzato nel 2001, le politiche si sono spostate verso un approccio incentrato sulla salute. Chi viene sorpreso in possesso di droghe per uso personale viene trattato come un problema amministrativo, piuttosto che penale. Negli ultimi 20 anni, il Portogallo ha mantenuto tassi più bassi di consumo di droga e ha visto la percentuale di detenuti condannati per droga scendere dal 40 al 15%. Nonostante l’allarmismo dei catastrofisti che questa mossa avrebbe portato ad un aumento della criminalità e della tossicodipendenza, si è verificato il contrario.

Molti critici ritengono inoltre che le radici della stessa guerra alla droga derivino dal razzismo e dal desiderio di criminalizzare le comunità di colore. Ci sono argomentazioni sulle sfide strutturali che le persone di colore devono affrontare e che derivano dall’eredità della colonizzazione, della dominazione e della schiavitù, ma c’è anche chi punta direttamente alle parole dei funzionari dell’amministrazione Nixon. È stata questa amministrazione a svolgere un ruolo fondamentale nel promuovere la narrativa di dover essere duri sulle droghe e duri sul crimine. Per esempio, in un articolo del 2016 per Harper’s Magazine, il giornalista Dan Baum ha scritto di una storia raccontata da John Ehrlichman, consigliere per la politica interna di Richard Nixon durante la sua presidenza.

“Vuoi sapere di cosa si trattava in realtà?”, chiese Erhlichman a proposito della guerra alla droga. “La campagna di Nixon nel 1968, e la sua presidenza dopo, avevano due nemici: la sinistra anti-guerra e i neri. Capisci cosa sto dicendo? Sapevamo che non potevamo rendere illegale l’essere contro la guerra o l’essere neri, ma facendo in modo che l’opinione pubblica associasse gli hippy alla marijuana e i neri all’eroina, e poi criminalizzando pesantemente entrambi, potevamo distruggere quelle comunità. Potevamo arrestare i loro leader, fare irruzione nelle loro case, interrompere le loro riunioni e diffamarli sera dopo sera al telegiornale. Sapevamo di mentire sulla droga? Certo che lo sapevamo.”

Secondo la Prison Policy Initiative, poiché le persone di colore hanno spesso tassi di povertà sproporzionatamente elevati, soffrono anche della disparità di trattamento del sistema giudiziario nei confronti dei poveri. I neri americani, in particolare, hanno una probabilità sproporzionata di essere incarcerati e di ricevere le condanne più dure, comprese quelle a morte.

Tuttavia, nonostante le critiche alla guerra della droga, alle pene minime obbligatorie e al conseguente maltrattamento delle persone di colore e dei poveri, alcuni studi recenti sostengono che non sono queste le cause principali della crescita del CCI. Uno studio di Pew Research pubblicato nel 2020 ha rilevato che i tassi di incarcerazione dei neri americani sono diminuiti di un terzo dal 2006.

In realtà, John Pfaff, esperto di giustizia penale della Fordham University, sostiene che la guerra alla droga e le sentenze minime obbligatorie non sono responsabili dell’aumento della popolazione carceraria. Nel suo libro Locked In: Le vere cause dell’incarcerazione di massa e come ottenere una vera riforma, Pfaff si avvale di fatti e statistiche per dimostrare che l’attenzione alla guerra alla droga non tiene conto della realtà del sistema giudiziario penale. Pfaff attribuisce la responsabilità della mancanza di un contesto all’incarcerazione di massa al libro del 2010, The New Jim Crow: Mass Incarceration in the Age of Colorblindness di Michelle Alexander, che a suo avviso tralascia fattori importanti.

Secondo Pfaff, non sono i reati di droga a determinare l’incarcerazione di massa, ma i crimini violenti. “In realtà, solo il 16% circa dei detenuti sta scontando una pena per accuse di droga; e pochissimi di loro, forse solo il 5 o 6% di questo gruppo, sono di basso livello e non violenti”. Pfaff dice anche che il governo federale non è il leader delle carcerazioni di massa, ma piuttosto i sistemi penitenziari a livello statale e locale. Pur riconoscendo che la polizia e i legislatori sono parte del problema, Pfaff afferma che spesso non si parla del ruolo svolto dai pubblici ministeri, che spesso sono fuori dai riflettori pubblici e politici.

Questo punto cieco nei confronti dei procuratori oscura il fatto che i procuratori locali e statali sono incredibilmente potenti nel sistema giudiziario degli Stati Uniti, perché hanno la possibilità di perseguire i reati come meglio credono. Lo si può vedere nei casi in cui i procuratori distrettuali hanno deciso di rifiutare alcuni casi non violenti. Per esempio, se un procuratore distrettuale decide di non voler più applicare le leggi sulla cannabis in un’area in cui la cannabis è ancora considerata illegale, la polizia non ha altra scelta che collaborare e ignorare questi reati. Inoltre, più del 90% dei casi penali si risolve con un accordo di patteggiamento, lasciando ai pubblici ministeri e agli imputati il compito di decidere quali casi si concludono con la detenzione e quali no.

I rapporti del Bureau of Justice Statistics degli Stati Uniti mostrano che nelle carceri statali la maggior parte dei prigionieri è detenuta per reati violenti, come omicidi, rapine, aggressioni e stupri, mentre meno di un quarto è detenuto per reati non violenti legati alla droga. Pfaff sostiene che questo contesto illustra il perché dell’incarcerazione di massa. Ritiene che si sia trattato di una reazione eccessiva alle massicce ondate di crimini violenti degli anni ’70, ’80 e ’90. Questa reazione eccessiva, secondo Pfaff, ha portato all’incarcerazione di massa e alla crescita di quello che oggi conosciamo come CCI.

La vita dopo il carcere

Uno degli ultimi aspetti deleteri del CCI è ciò che accade una volta usciti. Come si è detto, la libertà vigilata e la libertà condizionata sono spesso trappole con lo scopo di far continuare il flusso di denaro verso il CCI e di minacciare con la re-incarcerazione chi non è in grado di pagare le multe o di superare vari altri ostacoli giudiziari. Una volta usciti dal carcere o dalla prigione, si viene anche marchiati ed etichettati come pregiudicati, una lettera scarlatta che rende difficile trovare lavoro e alloggio e, in generale, stigmatizza l’individuo agli occhi dell’opinione pubblica ignorante che ritiene che chiunque sia stato in prigione o abbia precedenti penali debba essere una persona pericolosa e violenta. Gli ex-detenuti hanno anche difficoltà a ottenere prestiti per studenti, alloggi pubblici, assistenza sociale e hanno tassi più alti di recidività, di mancanza di casa e di suicidio. Per molti ex detenuti la sensazione è che una volta segnati, il mondo ti abbandona.

Posso parlare per esperienza di questa particolare area di ricerca. Quando avevo 20 anni, divenni tossicodipendente e fui arrestato. Fui condannato per possesso di droga e per un periodo di libertà vigilata e di prigione. Alla fine scontai 18 mesi dietro le sbarre prima di essere rilasciato come pregiudicato. Ho vissuto in prima persona l’esperienza di vedermi negati una casa, un lavoro e di essere giudicato per il reato che avevo sulla mia fedina penale. Ho esperienza di come i tribunali si aspettino che tu paghi le multe, ti sottoponga a test antidroga casuali, vada alle riunioni, altrimenti rischi di essere rispedito in prigione. Molte persone in libertà vigilata la considerano come un piede nel sistema penitenziario e un piede fuori, perché se l’ufficiale ritiene che tu abbia violato le condizioni, ti può rimandare immediatamente in prigione.

Tutto questo aiuta ad aumentare lo stress e la possibilità di ricadere in vecchie brutte abitudini a causa della pressione a soddisfare ogni condizione per non essere rispediti in gabbia. Ho visto molte menti brillanti che si sono ritrovate ingarbugliate nel CCI e hanno fatto fatica a trovare una via d’uscita. Molte delle persone che ho conosciuto in carcere continuano a entrare e uscire dal CCI, mentre altre hanno perso la vita a causa della tossicodipendenza. I pochi saggi che hanno capito in fretta non sono mai tornati in quell’orribile istituto. Cosa bisogna fare per cambiare questo modello di giustizia distruttivo, dispendioso e inefficace, in modo da poter riabilitare adeguatamente chi ha bisogno di aiuto?

Soluzioni

Ci sono diverse potenziali soluzioni con cui si può affrontare il complesso carcerario-industriale. La prima prova ad usare la politica o la legislazione per revisionare e riformare il sistema penitenziario. L’ex presidente Donald Trump nel 2018 ha approvato il First Step Act, che è stato accolto come il primo serio tentativo di riforma del sistema di giustizia penale degli ultimi decenni. Il First Step Act ha introdotto diverse misure, tra cui il “good time credit fix” che ha visto 3.100 persone rilasciate nel luglio 2019, alcune rilasciate con qualche giorno di anticipo, altre rilasciate con mesi di anticipo rispetto alla loro condanna originaria. Il First Step Act ha anche ampliato le modifiche retroattive alla legge sulle droghe, consentendo alle persone condannate per il possesso di una piccola quantità di crack di essere rilasciate in anticipo. Il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti ha dichiarato che la legge ha ridotto la pena di oltre 3.000 persone. Complessivamente, si stima che il First Step Act abbia ridotto la popolazione carceraria federale di circa 5.000 persone. Nel primo anno della sua amministrazione, il Presidente Joe Biden ha firmato un ordine esecutivo che ha posto fine all’uso di prigioni private da parte del Dipartimento di Giustizia. L’ordine sostiene che l’obiettivo è concentrarsi sulla riabilitazione invece che sulla detenzione.

La maggior parte degli attivisti è consapevole del fatto che, pur avendo prodotto risultati tangibili, queste azioni non sono sufficienti a risolvere i problemi strutturali generali creati dal CCI e ad esso collegati. Dall’altra parte dello spettro ci sono attivisti e ricercatori che credono che la risposta stia nell’abolizione delle carceri e nella loro sostituzione con istituzioni che si concentrino sulla salute mentale e sulla riabilitazione effettiva piuttosto che sulla punizione. Il Movimento per l’abolizione delle carceri ha visto un rinnovato interesse negli ultimi anni, in quanto sempre più persone si sono rese conto delle ingiustizie create dagli attuali sistemi di polizia e giudiziari. Questo movimento è composto da studiosi di diritto, attivisti, ex detenuti e anarchici che credono che sistemi di riabilitazione come quelli visti in Portogallo possano servire da modello per rielaborare l’intero sistema penitenziario.

Sebbene possa sembrare inverosimile o addirittura azzardato immaginare l’idea di un mondo senza carceri e senza polizia, è importante riconoscere e affrontare la rete di problemi creati dal CCI. Questo sistema non solo disumanizza i prigionieri, ma anche le guardie carcerarie, i giudici, i procuratori e tutti coloro che ne traggono profitto, normalizzando l’idea che gli esseri umani possano essere ingabbiati per delle violazioni e fatti soffrire in isolamento, fame, stress e condizioni pericolose. Finché non saremo disposti a guardare a questa situazione irrazionale e a cercare onestamente delle soluzioni, milioni di persone in tutto il mondo continueranno a soffrire in gabbia.

Dobbiamo ricordarci di mettere in discussione le autorità che dettano le leggi al popolo. Dovremmo fidarci ciecamente di quello che altri decidono sia giusto e morale e di ciò che invece merita di essere punito e imprigionato? Dobbiamo valutare se le leggi attuali sono in linea con i nostri valori e con la nostra idea di cosa sia una violazione delle norme sociali. Dobbiamo mettere in discussione la mentalità secondo cui una persona è irredimibile una volta che ha commesso un errore. Solo quando avremo trovato le risposte a queste domande e cercato di implementare soluzioni che sollevino tutti coloro che soffrono per mano di questo sistema, solo allora vedremo la fine del complesso carcerario-industriale.

Per sapere di più sul complesso carcerario-industriale, vi consigliamo di leggere:

Locked In: The True Causes of Mass Incarceration – and How to Achieve Real Reform di John Pfaff
e
The New Jim Crow: Mass Incarceration in the Age of Colorblindness di Michelle Alexander.


Posted

by